Una vacanza in Sicilia è completa se l’isola viene conosciuta per ogni aspetto qui presente. Non è sufficiente parlare del mare splendido della Sicilia, nè delle sue suggestive montagne o dei laghi vista Etna; per conoscere la vera Sicilia, occorre aggiungere a questi aspetti anche l’arte e la cultura locale.
Soggiornando al Palmento B&B, sei nel cuore della Sicilia vera e ad un passo da tutto ciò che vuoi vedere: Taormina, Cefalù, le Isole Eolie, l’alta montagna, l’arte e la cultura, tutto è ad un passo. Essendo però un posto fuori dai circuiti tradizionali, potrai avere la tua vacanza a prezzi low cost, senza rinunciare a nulla!

Ma… ecco un po di storia locale:

 

Galati, sino all’inizio del Rinascimento, fu una citta murata; la cinta muraria aveva due porte: la porta marina che sorgeva nei pressi dell’attuale chiesa di s. Caterina e la porta montana, prossima alla chiesa di s. Martino, poi dedicata al SS. Salvatore e infine alla Madonna del Rosario. Questa porta e ancora ricordata nella toponomastica cittadina con il nome ‘u Chian’a porta.La strada d’accesso al paese, sino dall’antichita, saliva dal­la contrada Paratore e penetrava nel centro abitato dal quar­tiere del Fondaco, ove vi era l’unica fontana di acqua potabile (l’odierna ‘a Funtana) che, a rigore di logica, doveva essere inglobata all’interno della cinta muraria.

Gia nel secolo XIII l’abitato era recintato. Le mura proteggevano l’intero abitato, tranne l’impervio acrocoro, e in questo si innestavano a E e a 0. Ancora oggi, nel lato E, si può vedere un breve tratto di muro e il suo innesto nel contesto calcareo della roccia, sovrastato da un arco romanico sul quale è impostata la facciata della coeva torre di difesa,ancora perfettamente conservata sino al fascione sottotetto e solo alterata, nella sua trama originale, dall’apertura di due finestre; la stessa trama edilizia, poi, si prolunga ancora, bene evidente, sin sotto il rudere dell’abside della chiesa di s. Michele arcangelo.

Come iniziare la visita del paese. Ecco una guida pratica:

 

È opportuno iniziare la visita guidata entrando da via di S. Antonino, via Roma e piazza Umberto I, percorso lungo il quale è abbastanza facile trovare il posteggio. È da qui, dalla chiesa di s. Caterina, che dovrebbe cominciare un percorso turistico.Questa chiesa è molto antica ed è stata restaurata nel 1581. Opere importanti da vedere sono la s. Caterina (1550), statua marmorea di bottega di Antonino Gagini; il Crocifisso, scultura lignea del secolo XVII, di bottega di fra’ Umile da Petralia; l’Immacolata (1808), statua lignea di Girolamo Bagnasco; il quadro di Madonna con Bambino e con s. Gioacchino e s. Anna (1753), olio su tela di Joseph Tresca; il Trapasso di s. Anna di ignoto del sec. XVIII (Agostino Scilla?).Si tornerà, seguendo l’antico percorso, verso la piazza sottana sulla quale troneggia la sconsacrata chiesa di s. Luca, in stile rinascimentale, non visitabile e tuttavia ancora imponente con la sua scalinata in pietra locale. In questo quartiere vi era la panetterìa e l’ospedale.Continuando sul percorso a mezza costa – l’attuale via Dante Alighieri – si giungerà alla base dell’acrocoro in cima al quale fu edificato, dai conquistatori musulmani, il castello del quale rimangono solo informi ruderi: vale la pena tuttavia di affrontare la salita, poiché dall’alto si abbraccia l’intera vallata del fiume Fitàlia spaziando, nuvole permettendo, sino al mare e alle isole Eolie. Il castello fu edificato intorno al 983 d.C. e rimase in uso sino al secolo XVII, sino a quando cioè fu abbandonato per le più comode dimore edificate intorno alla piazza soprana, oggi s. Giacomo.

 

Dell’edificio arabo rimangono po­chi ruderi che guardano a N e a E; su questo stesso versante vi è pure il rudere dell’abside della chiesa di s. Michele, di edificazione normanna.L’edificio era in posizione ragguardevole sia per sicurezza che per possibilità di controllo del territorio, era dotato di un importante apparato di fortilizi posti nei dintorni. Costituiva l’ultimo bastione del complesso difensivo della vallata formato, oltre che da quello di Galati, da quelli di Bufana (S. Salvatore di Fitalia) e di Beddumunti (Frazzanò).ph. Alessandro Smiriglia

È opportuno continuare il percorso lungo la via Dante, per raggiungere il quartiere di s. Martino; si incontrano lungo il percorso vicoli e vecchie dimore caratterizzate dalla presenza delle opere murarie in pietra locale e ciaramini, cioè framenti di terracotta di riuso (tegole, mattoni): l’economia di sopravvivenza di quei secoli duri non consentiva sprechi.

A questo punto del percorso si incontrano i resti della cinta muraria, di cui si è detto.

La ex chiesa di s. Martino, oggi chiesa del Rosario, è opportuno visitarla, pur essendo una povera opera edilizia novecentesca; in essa infatti vi sono conservati: la statua della Madonna delle Grazie o della neve, perla marmorea di Galati, sicura opera di mano di Antonello Gagini (1534); s. Giuseppe col Bambino, statue lignee di autore ignoto del sec. XIX; un armadio, posto in sacrestia, opera lignea di artigianato locale (1831), nonché il modesto, ma datato e firmato, gruppo statuario di Gesù che consegna le chiavi a s. Pietro di Gabriele Cabrera di Naso (unica opera sinora conosciuta di questo au­tore del Valdemone).

Si salirà poi verso la piazza s. Giacomo e si percorrerà via Toselli. In cima al colle – posto di rimpetto e più in basso rispetto all’acrocoro del Castello – vi era l’antica Universitas Galatensis, caratterizzata dalla loggia a tre archi romanici, del secolo XIII, miracolosamente pervenuta sino ai giorni nostri. Su largo Toselli permane, oggi in riuso, la base della torre du rroggiu vecchiu.

Tornando all’imbocco di via Toselli, si volgerà a destra e si troverà davanti ilmonumento ai Caduti, opera di Francesco Sorgi, del 1930.

Voltando a destra, verso via s. Marco, si imboccherà il vico abate Crimi; qui si potrà visitare un piccolo Museo di oggetti di vita contadina, esposti in un vecchio palmento. 

Il PALMENTO è il manufatto attrezzato per la spremitura dell’uva. Il locale è stato recuperato e utilizzato per l’esposizione degli attrezzi ritrovati sia in casa che quelli donati da cittadini galatesi.Sono oggetti curiosi e spesso usciti dall’uso quotidiano; si segnala un re magio, opera lignea di artigianato siciliano del secolo XIX; un collare per toro, dipinto, altra opera lignea di artigianato siciliano del secolo XIX; una rara coppia di casse per il trasporto della sabbia; una notevole raccolta di fotografie che raccontano la vita paesana degli ultimi cento anni.

‘U parmentu, il palmento, è costituito da una vasca in muratura usata per la pigiatura e la successiva fermentazione del mosto, restituito alle vinacce; per estensione, si intende con il termine l’insieme degli ambienti usati per la pigiatura dell’uva, per la prima fermentazione e per la torchiatura. Le strutture del palmento contemplavano: u pistaturì, ove si pigiava l’uva a piedi nudi; da questo il mosto colava in un panaru, che fungeva da filtro; il mosto infatti poteva trascinare degli acini di uva che da questo venivano fermati; u tineddu, il pozzetto cilindrico nel quale si raccoglieva il mosto; u torchiu, la pressa che serviva per la spremitura delle vinacce, che era composta da una madrevite metallica e da un congegno a manovella che avvitandosi stringeva le vinacce contenute nel cestello. Quello qui conservato è un esemplare non molto antico – risale agli anni 30 – poiché si avvale già del torchio metallico: sino al primo trentennio del secolo XX, a Galati, la pressatura delle vinacce si praticava con il sistema arcaico della sospensione del peso: al vertice di un braccio di leva, costituito da un lungo tronco di albero, era sospesa, tramite un sistema di argani, una pietra calcarea di enormi dimensioni. Nel locale è pure presente una raccolta di fotografie del paese sia paesaggistiche che di personaggi e costumi, dalla fine del secolo XIX sino ai giorni nostri.

Si tornerà sulla vicina piazza s. Giacomo ove si potrà vede­re la lungapalazzata baronale, edificata tra il 1600 e il 1700, che si conclude con ilmaestoso palazzo del principe, attualmente inagibile per ancora non conclusi lavori di restauro; l’edificio è senza dubbio l’architettura civile più significativa del paese ed è caratterizzato dalla bella loggia con bifora che si ispira al Montorsoli.

Chiude e conclude la panoramica della piazza la chiesa di s. Maria Assunta, in stile rinascimentale a tre navate, già chiesa baronale e oggi matrice. Si possono ammirare, nel transetto di destra, una Trinità (1545), in marmo bianco di dimensioni michelangiolesche, di Antonino Gagini, mentre nel transetto di sinistra vi è il gruppo marmoreo della Annunziata (1552), ancora di Antonino Gagini. Nella Sacrestia vi è la statua lignea del secolo XV di s. Sebastiano, di scuola fiammingo-renana, identificata negli anni Ottanta dello scorso secolo, da Federico Zeri.

Il sacro edificio è arricchito da una vasta raccolta di dipinti del secolo XVIII di scuola conchesca. Interessante è il dipinto di s. Francesco Saverio, posto sul primo altare della navata sinistra: studiato dalla specialista in iconologia Immacolata Agnoli, è stato datato alla prima metà del 1600, ma dopo il 1622, anno della canonizzazione del gesuita; il santo infatti è già raffigurato con l’aureola attorno al capo. Sono però di buona mano anche il quadro dell’Assunta, il dipinto di s. Giacomo, posto sopra l’arco della porta centrale, quello di s. Antonio di Padova e di s. Ignazio di Loiola tutti di scuola conchesca, alcuni firmati e datati Joseph Tresca 1753.

Segnalo pure un ciborio posto sul piano dell’altare della Trinità, nel transetto di destra.

E’ un tabernacolo, ritrovato presso la chiesa di s. Luca e fatto restaurare dal parroco, don Giuseppe Pichilli. “Del sec. XVIII-XIX, di bottega locale in legno scolpito, dorato e dipinto a tempera e in ottimo stato di conservazione, l’oggetto non presenta cadute di colore, né screpolature della pellicola pittorica; anche la struttura del legno è compatta e non presenta tarli, né è “imbarcata” in alcun punto. Ha una struttura complessa, di tipo architettonico. Sul basamento cinque specchiature scandiscono la “facciata”(articolata su quattro colonnine, di cui due aggettanti): quella centrale, più ampia e corrispondente allo sportello soprastante, è ornata con volute stilizzate, mentre le quattro laterali, corrispondenti alle colonnine, presentano delle foglie d’acanto che sostengono anfore. Su questo basamento poggiano le quattro colonnine, con scanalature ad un terzo dell’altezza e capitelli con volute e ovuli di gusto classicheggiante, che fiancheggiano lo sportello centrale. Questo, che apre, tramite chiavetta, la teca vera e propria che contiene la pisside con le ostie consacrate, è centinato, quasi a mo’ di portale di una chiesa, ed è ornato con l’agnello sacrificale, raffigurato con i simboli canonici della croce e della palma, accovacciato su un altare sostenuto da nuvole.
“In alto un frontone liscio, con rientranze e sporgenze che assecondano l’aggetto delle colonnine, è ornato con rosette in corrispondenza delle stesse.”Il coronamento è costituito da un fastigio dalla forma vagamente triangolare, a mo’ di timpano, costituito da un calice con l’ostia raggiata al centro, da cui si dipartono, ai lati, delle spighe di grano a destra e un tralcio con grappolo d’uva e pampini a sinistra, evidenti simboli del corpo e del sangue di Cristo. Infine i fianchi di tutta la struttura sono resi morbidi da foglie stilizzate e accartocciate, digradanti verso l’alto.”Il colore è l’oro per tutta la superficie, tranne sul frontone e le lesene su cui poggiano le colonnine, che sono di color turchese. “L’oggetto, di buona fattura, ha stilemi tipicamente Rococò, benché è molto probabile che si tratti di una rielaborazione ottocentesca. E’ interessante l’ecletticità decorativa profusa, che sa coniugare simboli cristiani con ornamenti fitomorfi stilizzati, che rendono amena e leggera tutta la struttura. Questa, d’altra parte, è organizzata su elementi architettonici di vago gusto classicheggiante, che assimilano questa sorta di “macchina devozionale” alla facciata di una chiesa, con tanto di portale centrale, timpano e colonne che imitano il cosiddetto “ordine gigante”, cioè che ne occupano la superficie per tutta l’altezza, oppure ad un polittico medioevale, con la tipica “predella”, corrispondente al basamento su cui poggiano le colonnine. “L’ignoto maestro artigiano ha saputo coniugare suggestioni di diversa derivazione, nel tempo e nello spazio, realizzando un oggetto, nel complesso, armonioso e ben costruito” (Lucrezia Rubini).

Interessante è pure l’acquasantiera in marmo, forse di Sebastiano Ferrara, donata alla chiesa da Bernardo Amato, figlio primogenito del primo principe di Galati (1645-1647) e il coro ligneo dell’abside, ove è pure collocato il quadro dell’Immacolata di Gaetano Mercurio del secolo XVIII.

Il manufatto racconta la tragica storia di Bernardo Amato, figlio primogenito di Filippo, primo principe di Galati, laureato in filosofia e matematica e morto all’età di soli 19 anni.
(cfr, Vicario, Galati Mamertno nel Parco dei Nebrodi, 2005, pp. 110-111).

Infine su via Cavour, dal lato Tortorici, si potrà visitare il pastificio Emanuele, risalente agli inizi del 1900, oggi acqui­sito dalla Soprintendenza ai Beni Culturali di Messina.

La visita al centro abitato si può dire conclusa, ma c’è an­che altro da vedere, spaziando nel suo vasto territorio, posto nel Parco dei Nebrodi.