La storia del comune di Galati Mamertino nel Parco dei Nebrodi -ove si arriva comodamente in auto seguendo il collegamento veloce Galati-mare, lungo il greto del fiume Zappulla- malgrado vi sia già una vasta bibliografia, ha ancora molti lati oscuri, specialmente per il periodo che va dalla riconquista cristiana sino al secolo XV inoltrato, mentre il periodo islamico rimane tutto da studiare.La dominazione musulmana, a Galati, non è stata lunga: poco meno di novant’anni. Un tempo sufficiente però perché si potesse costituire una ‘comunità’. Edificato, infatti, il castello del ‘signore’ (Èayh), orientato verso la Mecca e difeso dalla cinta muraria nel breve tratto accessibile da Sud, i sudditi edificarono le loro case lungo il costone sottostante, “rispettando la trama propria della urbanistica islamica, formata da strade di penetrazione nei quartieri e da vicoli ciechi, le azikka” (Martines).

La conquista normanna appoggiò e rafforzò l’elemento cristiano, in modo particolare la ‘grecità’, ma lasciò in vita le istituzioni municipali, ove già esistevano. Qui, aiutò con ricche donazioni i monasteri greci impoveriti dall’Islam: nella zona fu rivalutato il monastero di s. Filippo di Fragalà, al quale fu concessa l’edificazione di un metochio in territorio di Galati, s. Pietro a Muely, mentre ne fu fondato uno nuovo, il monastero di s. Anna.

Per il clero secolare, giunto insieme con i Normanni, fu subito edificata la chiesa di s. Michele nel recinto del castello, della quale è pervenuto a noi il rudere dell’abside. Per gli abitanti ancora spiritualmente curati da monaci di osservanza bizantina, invece, fu edificata la chiesa di s. Maria Odigitrìa, successivamente, nel secolo XV, dedicata a s. Rocco.

Con lo sviluppo del tessuto urbano, fuori dal castello, tra i secoli XII e XIII, al fondo dell’acrocoro e lungo la via di irradiazione dal mare ai monti, il centro abitato si sviluppò e fu protetto con una cinta muraria, demolita nel secolo XVI, allorché i nuovi signori, debellato il pericolo delle incursioni saracene, lasciarono l’antica dimora.

Dalla vetta dell’acrocoro, tra i secoli XI e XVI, restarono a dettare la loro legge feudale i ‘signori’ infeudati prima dal conte Ruggero e, nei secoli avvenire, dai loro successori.

La strada che scendeva dal castello, seguendo lo sviluppo del tessuto urbano, continuò con percorso di crinale sino alla più modesta collina posta di rimpetto, nuda di edifici, ben visibile dalla cima dell’acrocoro, ma vistosamente a questo subordinata.

Su questa collina, dominante sui nuovi quartieri del paese, fu edificata la casa dell’università, l’Universitas Galatensis; nel periodo feudale con questo nome si intendeva “la totalità degli abitanti della Terra”, mentre con il termine ‘Terra’ si indi­cava il centro abitato e l’intero territorio pertinente al feudo.Dell’edificio dell’università è giunto sino a noi la loggia del secolo XIII, al tempo formata da tre archi romanici che guardavano i tre quartieri costituenti la medievale città murata: S. Martino, S. Caterina e il Castello. Dalla loggia venivano letti i bandi del ‘padrone’ – poi ‘barone’ con il sopravvenire dell’ordinamento feudale – per essere portati a conoscenza dei sudditi.

Quest’elemento edilizio venne inglobato nella casa cin­quecentesca che, nel secolo XX, sarà di proprietà del sig. Giuseppe Parisi; oggi due dei tre archi della loggia dei bandi

Stemma, ipotesi di lettura
Si ritiene di sciogliere la lettura blasonica dell’impronta galatese come segue: semipartito troncato di Castiglia, di Leon e di Napoli (o d’Angiò antico), addestrato troncato dei Farnese e di Portogallo, sinistrato dei Medici; sul tutto in cuore, dei Borbone (d’Angiò moderno).Maurizio Carlo Alberto Gorra, IAGI, AIOC

La sede dell’Universitas fu edificata nel secolo XIII sulla collina a S del Castello, meno elevata dell’acrocoro sul quale fu edificato il castello: cioè in evidente subordinazione. Sulla facciata prospiciente il castello vi era la loggia dei bandi, a tre arcate romaniche. Da ciascuno degli archi, la voce del banditore, che ne leggeva il bando, cioè il pubblico annunzio dell’ordine del feudatario, giungeva, sulle ali del vento, sino alle case dei sudditi.
Ph. Gino Fabio

sono ancora visibili dalla terrazza del Sine die pub; il terzo fu inglobato nel fabbricato cinquecentesco, ma se ne vedono le tracce.Sulla piazza antistante la casa dell’Universitas, oggi largo Toselli, fu, in epoca non ancora certa, edificata la torre dell’orologio (‘u rroggiu vecchiu, del quale rimane solo il rudere della base coperto con tegole), collocata tuttavia in modo da non danneggiare lo spazio visivo della ‘loggia’.