Il simulacro del Crocefisso del “Maestro di Galati”
 

di Salvatore G. Vicario

Nel 2010 Galati Mamertino ha festeggiato la ricorrenza del 150° anniversario della istituzione della festa dei Tre Santi: già cinquant’anni addietro i nostri avi ne celebrarono il centenario con molta solennità.

Il concittadino p. Gaetano Drago, che dell’evento fu protagonista, ce lo tramandò con un opuscolo[1], ormai raro, che merita di essere almeno parzialmente riesumato:

Le « Feste d’Agosto » del 1960 hanno assunto in Galati Mamertino una particolare solennità per la ricorrenza del primo Centenario dalla loro istituzione.

Dietro proposta di S.E. mons. Pullano, Vescovo di Patti, si è dato alla celebrazione del Centenario un contenuto essenzialmente reli­gioso, facendola culminare con la Consacrazione del paese al SS. Crocifisso.

La solenne cerimonia è stata preceduta da un Triduo predicato nella Chiesa Madre, dove era stato portato il simulacro del SS. Crocifisso.

Nel pomeriggio del 23, all’arrivo di mons. Vescovo, il SS. Cro­cifisso è stato portato processionalmente in piazza accanto all’ampio palco su cui era eretto l’altare e dove prendeva posto S.E. il Vescovo, il Clero e le Autorità cittadine; tutta la popolazione di Galati rac­colta nella piazza assisteva in piedi e nel massimo raccoglimento al solenne rito.

Il p. Gaetano Drago tenne il discorso commemorativo; seguì la Messa vespertina celebrata dal p. Isidoro da Galati dei Minori Cap­puccini, dopo di che S. Eccellenza il Vescovo rivolse agli astanti un’accesa allocuzione sul significato della Cerimonia e lesse in ginoc­chio la formula di consacrazione composta da lui stesso. E il rito si chiuse con la Benedizione del Santissimo impartita dal Vescovo, mentre la splendida illuminazione cambiava la notte in giorno e l’immensa piazza prendeva l’aspetto d’un tempio maestoso a cui il cielo stellato faceva da volta e le luci, i canti, la folla orante con­ferivano una grandiosità indimenticabile.

Mi piace qui ricordare almeno l’inizio della colta omelia, letta il 23 agosto 1960 da una delle personalità più rappresentative che in passato abbiano onorato il nostro paese, p. Gaetano Drago:

Eccellenza Reverendissima, Reverendi Confratelli, Signor  Sindaco  e   Signori  della  Giunta, Signori  del  Comitato, cari Concittadini,

Un secolo di tempo nella vita di un popolo non dice molto. Per la nostra gloriosa terra di Galati che vanta 24 secoli di storia[2], un secolo di più conta all’incirca quanto per noi un anno che si aggiunga alla nostra esistenza. La vita di un popolo si conta coi millenni. Per noi che misuriamo la nostra cogli anni e coi decenni, un secolo è molto: ci riporta indietro nel campo della storia.

Che cosa succedeva a Galati un secolo fa?

Un altro Centenario interessa quest’anno tutta Italia, la Sicilia in modo particolare ed anche Galati: il primo Centenario dei moti d’Indipendenza dell’Isola e dell’Italia tutta, moti che dovevano con­durre alla tanto sospirata unità d’Italia. Si son fatte commemora­zioni celebrative in Sicilia per lo sbarco dei Mille e la liberazione dell’Isola; anche nelle celebrazioni del Continente la Sicilia occupa quest’anno il primo posto perché qui si accese la fiamma che. divampando come incendio, investì tutta la Penisola. E in Sicilia nacquero i moti anteriori del ’48 e del ’49 e i primissimi del ’21, moti nei quali Galati si trova in primissimo piano col nome di quell’eroe che fu Giovanni Crimi.

 Figura luminosa quella dell’Abate Crimi che in pace e in guerra, sui campi di battaglia e nell’orrore del carcere duro, come all’altare e sul pulpito, seppe conservare incontaminato il suo sacerdozio. Egli che scosse dal torpore i concittadini col fuoco della sua eloquenza, che offrì la sua spada alla Patria e il petto alle palle nemiche, nell’oscura agonia dei cinque anni della sua ultima prigionia, offrì al Signore, per la salvezza della Patria, le torture fisiche di cui fu fatto segno e l’angoscia morale che lo consumava per il crollo del suo sogno e per il tradimento di indegni concitta­dini. E perdonando, come Cristo in croce, a tutti i suoi nemici, offriva le sue sofferenze e la vita per la grandezza della Patria.

Un poeta direbbe che le povere ossa dell’eroe, nell’oscuro angolo in cui furono gettate dai suoi nemici, dovettero sussultare di gioia quando alto in tutta la Sicilia si levò il grido della liberazione. Esultò certamente il suo spirito nel Cielo dei Beati, vedendo che le sue parole non erano state vane e non invano aveva sparso il suo sangue ed elevate a Dio le sue preghiere.

In quel glorioso Maggio del 1860, come dovettero rimpiangere i Galatesi l’immatura scomparsa dell’illustre concittadino avvenuta sei anni prima; solo allora forse compresero appieno la nobiltà di quel cuore e da allora la figura dell’Abate Crimi prese il significato di un simbolo.

E pensarono i Galatesi di allora di celebrare i grandi avveni­menti patriottici con feste solenni. Non esistevano in quei tempi fe­steggiamenti civili e, profondamente religiosi com’erano, i nostri padri decisero proprio quell’anno di dare maggiore solennità alle feste patronali aggiungendo alle feste popolari di S. Giacomo e di S. Rocco la festa annua del SS.mo Crocifisso che si venerava da circa tre secoli nell’antica Chiesa di Santa Caterina; e da allora la festa del Crocifisso divenne il centro e l’anima delle Feste di Agosto.

 

1. — Non è senza interesse il fare un cenno sull’origine della festa dei Tre Santi. Riportiamoci indietro di quattro secoli.

La Matrice del Rosario che aveva sostituito la Chiesa del SS. Salvatore, caduta per vetustà, fu a sua volta distrutta da un terri­bile incendio agli inizi del secolo XVI. Era quello il tempo in cui, cessate finalmente le guerre di dominazione che avevano insangui­nata la Sicilia per parecchi secoli, inauguratasi una nuova epoca, non certo gloriosa ma almeno più pacifica, col consolidamento della dominazione spagnola, i Baroni abbandonavano gli antichi Ca­stelli e si fabbricavano nuove dimore in luoghi più ameni e pianeg­gianti. Ed anche i Baroni di Galati lasciarono il vecchio castello medievale e diedero origine al quartiere del Piano, in cui costrui­rono ampie case e fecero erigere la bella Chiesa baronale di S. Gia­como, che prese il titolo e le funzioni di Matrice per la distruzione della Chiesa del Rosario. E da allora S. Giacomo fu venerato come Patrono di Galati, in omaggio ai dominatori spagnoli, giacché tutti sanno che S. Giacomo Maggiore Apostolo, che per primo avrebbe predicato il Vangelo nella Spagna, è stato sempre ed è tuttora il Patrono di tutta la Spagna.

Il culto di S. Rocco è anteriore a quello di S. Giacomo nella nostra terra. Forse non tutti sanno che questo popolarissimo Santo riscuoteva un culto larghissimo nei secoli passati come protettore contro la peste. Si era mosso dalla nativa Montpellier in Francia per venire a Roma a venerarvi la tomba di S. Pietro; ma, varcati i con­fini della nostra Patria, la trovò in preda alla famosa e terribile peste del 1348. Mise allora da parte l’idea del pellegrinaggio e si diede a curare gli appestati; prese anche lui la peste, ne guarì miracolosa­mente e continuò il suo pellegrinaggio di carità nei paesi conta­giati che percorreva.

Fino a quel tempo Protettore contro il flagello della peste era il Martire S. Sebastiano perché ebbe tutto il corpo piagato dalle frecce del suo Martirio, ed è questo il motivo per cui il culto del Martire romano era ed è ancora così popolare e universale. S. Rocco fu in seguito associato a S. Sebastiano nell’identica devozione in moltissimi paesi. Nella vecchia terra di Galati esisteva una Chiesa di S. Sebastiano che diede il nome al quartiere; a fianco a quella sorse poi la Chiesa di S. Rocco e questo Santo rimase solo ad essere invocato contro il flagello della peste, tanto che la Chiesa di S. Sebastiano cambiò titolare e fu dedicata alla Madonna del Carmine. Le due Chiese sono ora ruderi informi; i due Santi titolari si sono rifugiati entrambi nella Chiesa del Rosario, l’antica Matrice della vecchia terra di Galati, come figli in pena che tornano alla vecchia madre. S. Rocco ebbe dunque la sua Chiesa e la sua festa, fu anzi associato a S. Giacomo nelle feste patronali.

Un  secolo  fa,  quando  i  nostri  padri  diedero  nuovo  lustro  alla Festa dei Tre Santi, la peste e il colera, le due grandi epidemie che menavano tanta strage in passato, erano ancora presenti e operanti in tutta Europa, compagni inseparabili della guerra e della carestia.

Il culto del Santissimo Crocifisso prese impulso a Galati quando vi giunse il prezioso simulacro uscito dalle mani di quel santo reli­gioso francescano e sommo scultore che fu Frate Umile da Petralia[3].

La bellezza artistica del simulacro, spirante dal volto serena maestà e intenso dolore, tutto l’insieme che presenta un equilibrio meraviglioso tra l’umano e il divino attirarono presto la pietà dei fedeli e fu istituita una festa speciale in suo onore.

E fu un’idea cristianamente geniale quella che ebbero i nostri padri un secolo fa, di fondere in una le tre feste separate, da cele­brarsi nei giorni che cadono tra i due raccolti principali della terra, quasi a ringraziare la Provvidenza per il raccolto avvenuto e a pro­piziarsela per il successivo. Ed è giusto che questo avvenimento storico e religioso insieme, a cento anni di distanza, sia festeggiato da noi in modo particolare e solenne.

 

2. — E giusto anche, cari concittadini, che noi cogliamo il significato della Festa dei «Tre Santi» per sentirci più uniti ai nostri padri che la istituirono.

S. Giacomo, Apostolo di G. Cristo, predicò il Vangelo e piantò la Chiesa in diverse regioni, e alla Fede che predicava diede il suggello con la testimonianza del proprio sangue, morendo Martire di G. Cristo. Egli è per noi il simbolo di quella Fede che deve animare ogni Cristiano, Fede nelle Verità divine che sole sono eterne e immutabili, rivelate da Dio stesso, predicate dagli Apostoli, insegnateci dalla Chiesa che ne mantiene integro il deposito per volere stesso di G. Cristo suo Fondatore. La Fede è la grande ric­chezza del Cristiano perché gl’insegna il valore reale della vita an­che quando questa è travagliata da difficoltà e sofferenze d’ogni genere, al disopra delle quali essa gli fa scorgere gl’immutabili de­stini che si conquistano con la virtù in questa vita e si compiono nell’eternità, con la gloria.

In mezzo alla congerie di errori e di menzogne che ci vengono propalati dai falsi profeti dei nostri giorni, la Fede è l’àncora sal­dissima alla quale bisogna tenersi aggrappati per non naufragare miseramente tra i vortici dell’errore, rimanendo fedeli a Cristo nella gioia e nel dolore, difendendo la nostra Fede a spada tratta.

Quando il Barone di Galati assisteva nella Matrice alla Messa domenicale con la sua piccola corte di Ufficiali, al momento del Vangelo balzava in piedi e sguainava la spada e con lui tutti i suoi Ufficiali, come segno ch’erano disposti a battersi per la Fede fino a dar la vita; e finito il canto del Vangelo, il Suddiacono recava il Messale al Barone perché baciasse le parole del Vangelo, come fa il celebrante, a conferma dell’atto di Fede…

 

Mi ricollego alle ultime parole di p. Gaetano Drago: “Conferma dell’atto di Fede”, fede con la lettera maiuscola!

In questo saggio per il 150° anniversario, edito in occasione dell’Anno Giubilare, vorrei quindi parlare in primo luogo della Fede che, a me sembra, a Galati Mamertino sia molto annacquata e spesso svilita. E mi sembra giusto soprattutto parlarne in occasione del Giubileo poiché, altrimenti, a che cosa è servito questo raro evento?

“Secondo la dottrina cattolica la “fede” è assenso della ragione alle verità da Dio rivelate, che noi dobbiamo accettare per l’autorità di chi le rivela.

“Oggettivamente la nostra Fede abbraccia tutte le verità e i precetti che sono contenuti nel deposito della rivelazione, e in quanto cadono sotto la testimonianza e la veracità di Dio.

“Soggettivamente la Fede è atto d’intelligenza, motivato dalle ragioni che lo rendono saggio e doveroso, determinato dalla volontà che rimane libera in quell’accettazione, e ancora più altamente giustificato da un intimo impulso della grazia che induce all’atto.

“Come atto d’intelligenza la fede domanda che l’uomo si assicuri del fatto storico della rivelazione divina, che si renda conto dei motivi esterni ed interni i quali rendono prudente e doveroso il suo assenso …(Nicola Turchi)”.

Conseguente ne è quindi il “riconoscimento della grazia” (come “dono” senza obbligo di accettazione), il “comportamento sociale” (“Ama il prossimo tuo come te stesso” – “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”) , il senso della “preghiera” (1°- il “sacro rito” non vissuto in chiesa come in un salotto da conversazione; 2° – la “processione” non scambiata per manifestazione folcloristica) .

Se l’Anno Giubilare dedicato al simulacro del Crocefisso, punto focale delle “festività del ringraziamento” che hanno raggiunto, in questo 2010, il 150° anniversario, farà meditare su tutto questo, potremmo dire che l’occasione abbia portato al riscatto della nostra comunità parrocchiale.

 

Ma l’occasione dell’Anno Giubilare spinge pure a parlare del simulacro del Cristo in croce presente a Galati Mamertino sin dal secolo XVII e, per questo raro evento, posto in trono sull’altare maggiore della chiesa matrice di S. Maria Assunta.

Intanto dico subito che fra le opere lignee raffiguranti il Cristo Crocefisso, il simulacro presente a Galati Mamertino si pone – da qualsiasi punto di vista si esamini – fra quelli meglio realizzati, non solo in campo regionale.

Quindi questo assunto rimane un punto fermo, chiunque ne sia stato l’autore. Si discute invece da sempre sull’attribuzione di questa pregevolissima opera  sin dal secolo XVII[4]. Le notizie che sino a oggi abbiamo a disposizione non danno certezze, ma solo ipotesi che espongo perché i futuri ricercatori abbiano dati documentali dai quali fare ripartire i nuovi studi:

–                      l’Anonimo[5], che sarebbe anagraficamente il più vicino nel tempo all’età di Frate Umile da Petralia, ci dice solo, descrivendo la chiesa di S. Caterina: … in essa vedesi con istupore un divotissimo Crocifisso …; tutto qui! Ci fornisce tuttavia la certezza che la statua nel corso del secolo XVII era già presente a Galati[6];

–                      l’Autore più qualificato che sino ad oggi si sia occupato di Galati Mamertino, Giangiacomo Martines, non ha trovato documenti che riescano a fargli accettare la paternità di frate Umile per il simulacro del Crocefisso di Galati. Egli scrisse infatti[7]:

La scultura in legno nel Medioevo aveva privilegiato più fre­quentemente i significati della pietà nelle tantissime Deposizioni che riflettono tutte il medesimo schema incentrato sulla figura di Nicodemo, tramandato appunto solo da Giovanni. Come i gruppi della Deposizione riflettono il gusto per la sacra rappresentazione medievale, cosi i Croce­fissi di fra Umile, del Maestro di Galati  e di fra Innocenzo da Assisi, sono il vertice del pietismo barocco, teso a raggiungere, attraverso la teatralità delle Scritture, il mistero del preciso istante rappresentato. In tutti i Crocefissi della scuola dell’artista petralese, l’evidenza delle ginoc­chia, sulle quali posa il corpo esanime, non è solo un modello plastico e canonico, fissato da Umile e Innocenzo, quanto piuttosto è la traspo­sizione di un versetto di Giovanni: “Ma venuti a Gesù, siccome videro che era già morto, non gli spezzarono le gambe […]. Queste cose, infatti, avvennero affinché si adempisse la Scrittura: nessun osso gli sarà spezzato”. Il Martines nel suo saggio attribuì l’opera a un “maestro di Galati”, ancora da accertare[8];

        –        nel 1986 Salvo Nibali accettò acriticamente pure lui l’attribuzione del simulacro galatese a frate Umile, fornendo come fonte il volume dei Valenti[9];

–           dal 1987 in Sicilia si susseguono gli studi sull’argomento. In febbraio[10] Mario Guido pubblicò un articolo ben documentato ove citava due Crocefissi firmati e presenti a Bisignano e a Polla in Calabria;

–            Un articolo dedicato da Carmelo Duro alla produzione dei Crocefissi del frate petralese nel 1988 non ha segnalato il simulacro di Galati fra quelle documentate[11]. E questa incongruenza trovo strana, poiché lo stesso autore si era interessato di fra’ Umile l’anno precedente con due articoli, in sequenza[12]. Nell’articolo del 26 marzo scriveva:

Sul misticismo e sulla tenerezza di Frate Umile si innestarono leggende e favole: è tradizione popolare che il Crocifisso di Galati Mamertino sia stato completato materialmente con l’aiuto soprannaturale. L’artista, dice la leggenda, doveva scolpire la testa per ultimare la sua scultura ma, soprav­venuta la sera, stanco, andò a riposare dopo aver pregato e pianto a lungo. La mattina seguente trovò miracolosa­mente completata la testa del Crocifisso. La stessa co­sa, si narra, sembra sia avve­nuta per quello di Mussomeli dove l’artista «chiamato dai confratelli per andare a mangiare» vi si recò dopo non poche insistenze e «al suo ri­torno trovò la testa del Cristo miracolosamente scolpita al giusto posto». Quindi il Duro non sarebbe alieno dall’attribuire a fra’ Umile il simulacro galatese, ma pure lui non fornisce fonti, ma solo opinioni. Interessante è invece la descrizione della corona di spine nell’arte del petralese[13]; scrive infatti nello stesso articolo il Duro: Corona a più giri di spine: è caratterizzata dalla eccessi­va voluminosità del numero­si giri di spine sempre intrec­ciati con della corda disposta a spirale; inoltre una spina della corona trafigge — in tutte le opere — uno del due sopraccigli e, talvolta, en­trambi, fino a raggiungere l’occhio: ciò, sia per rendere più drammatica e pietistica l’espressione del Cristo, sia per la sofferenza che afflig­geva lo scultore e che fu la causa della sua cecità (nel­l’Ecce Homo di Calvaruso la «spina» è particolarmente impressionante).

A proposito della corona di spine, il simulacro galatese è sempre esposto con la corona d’oro[14]; spero tanto che la corona originaria sia ancora in dotazione della parrocchia[15].

–                      una ricerca da me svolta in internet mi ha tuttavia fatto ritrovare uno spunto non negativo, pur se non autorevole al di là di ogni possibile dubbio[16], ove, in una nota non firmata, si legge:

La sua vasta produzione scultorea [di frate Umile] allocata tra Sicilia, Calabria, Basilicata e Campania è cosi composta: Crocefissi ritenuti autentici di Fra Umile: Acicatena, Agira, Agrigento, Aidone, Bisignano, Caltagirone, Caltanissetta, Campobello, Catania, Cerami, Chiaromonte, Collesano, Comiso, Cutro, Enna, Feria, Galati Mamertino, Gangi, Messina, Milazzo, Mistretta, Mojo Alcantara, Mussomeli, Naro, Palermo, Petralia Soprana, Piazza Armerina, Pietraperzia, Randazzo e Salemi. Crocefissi dubbi: Adrano, Caltanissetta, Castelbuono, Chiusa Sclafani, Grammichele, Isnello, Palermo, Pesaro, Petralia sottana;

–                      un’altra ricerca riconosce il simulacro di Galati Mamertino come autentica opera di frate Umile. Vi si legge:

La leggenda raccontava che Frate Umile avesse scolpito 33 Crocefissi. In effetti, grazie al lungo lavoro di raccolta e di catalogazione svolto da Peppino Guzzardi[17], sindaco di Mojo[18] per un lungo periodo a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’80, si è arrivati ad attribuirgliene 32 a cui va sommato l’Ecce Homo di Calvaruso. Ma il lavoro di Guzzardi ha permesso di catalogare almeno altri 10 Crocefissi e due Ecce Homo che, se non proprio di Fra’ Umile, sono da attribuire alla sua scuola”[19].

Letto questo testo con molta curiosità, mi sono premurato di entrare in contatto con un cultore di storia municipale di Mojo[20], essendo deceduto il Guzzardi, ma purtroppo ho avuto conferma sulla mancanza di fonti che potessero dare spessore scientifico alla pretesa certezza guzzardiana.

A questo convegno di studi furono invitati pure il parroco e il sindaco del tempo di Galati Mamertino[21]; entrambi si rivolsero a me per rappresentare il Comune; ma nel 1985 ero in piena attività professionale e non mi fu possibile esservi di persona. Inviai pertanto una relazione scritta della quale conservo la minuta, che ripropongo parzialmente per la parte riguardante l’argomento:

Quando il calendario del mese di agosto comincia a scandire il ritmo dei giorni della sua terza decade, nell’inconscio di ogni cittadino di Galati Mamertino, emigrato in qualsiasi angolo del mondo,  un senso di malessere comincia a serpeggiare negli anfratti più reconditi, sì che ciascuno è costretto a fare un pensierino di ritorno verso quei familiari, asperrimi profili montani in cerca della bramata quiete, dianzi turbata dalla nostalgia.

È il triplice richiamo: del paese, delle processioni e del simulacro del Crocefisso. […].

Il Crocefisso di Galati non ha ancora purtroppo una documentazione attributiva inconfutabile, anche se è fuor di dubbio che l’opera rientri in quella “scuola di crocefissari siciliani, tutti religiosi francescani[22], che sono chiamati dal campanilismo dei padri provinciali a scolpire opere nei diversi conventi delle Serafiche Province”[23].

La saggistica locale vuole attribuirne la paternità a frate Umile da Petraia, ed io stesso mi sono, all’inizio, inserito imprudentemente nella schiera dei più, anche se con qualche riserva.

 In un opuscolo sul culto del SS. Crocefisso curato da Vincenzo Valenti, Francesco Longhitano considererebbe quello di Galati il 33° Crocefisso mancante all’elenco – tradizionalmente tramandato – delle opere del Pintorno. Ne giustifica l’assunto con la stretta parentela che legava il barone Lanza di Galati a quello di Moio, ove il primo avrebbe ammirato un esemplare del frate Umile. Il Longhitano ne cataloga venti, ai quali ne aggiunge ancora dodici avvalendosi dell’autorità dell’estensore dll’opera “Moio Alcantara e la sua devozione” di A. Gemmellaro[24].

Non so se il prossimo convegno di studi indetto per il 21 settembre p.v. sul tema “Frate Umile Pintorno da Petraia Soprana nella storia e nell’arte” indetto da codesta Amministrazione potrà dirimere il dubbio sulla paternità del Crocefisso di Galati; poiché tuttavia la storia dell’arte si può fare, sì, con le attribuzioni, ove la lettura non lasci dubbi, ma mi sembra più ragionevole che venga suffragata da documenti d’epoca ( non impossibile del resto, data la dovizia di libri parrocchiali ancora fortunatamente presenti sia a Galati, sia negli Archivi di Stato), preferisco con il Martines di continuare ad attribuire al Maestro del Cristo di Galati il simulacro galatese. Ben felice ovviamente di riconoscerlo come il 33° Crocefisso del Pintorno il giorno in cui Antonello Pettignano potrà scovare la “carta” giusta, fra le tante che diuturnamente va consultando, o qualora gli studiosi che ne dibatteranno il tema, potranno esibire gli inconfutabili dati archivistici.

In conclusione posso dire ancora oggi che l’’argomento sia ancora del tutto aperto e forse di non facile soluzione: gli archivi parrocchiali di Galati Mamertino furono dispersi, nei secoli, in tanti rivoli, quanti furono i sacerdoti che ressero l’arcipretura, non avendo avuto mai, di volta in volta,  le chiese matrici, l’annessa casa parrocchiale sino alla seconda metà del secolo XX[25].

 

 


[1] P. Gaetano Drago, Nel primo centenario delle feste di agosto in Galati Mamertino, Roma 1960

[2] P. Drago sosteneva, in sintonia con un saggista anonimo del secolo XVII, il cui manoscritto è stato ritrovato presso la Biblioteca comunale di Palermo, che Galati Mamertino fosse da identificare con la Calacte fondata da Ducezio

[3] Padre Drago ha sostenuto, come provata, l’attribuzione alla mano del frate di Petralia per il simulacro del Crocefisso di Galati Mamertino, anche se non se ne è  mai trovato il documento; frate Umile da Petralia (PA), al secolo Giovanni Francesco Pintorno (*1601, +1639), pio scultore siciliano, iniziò la sua attività artistica nel 1623, quando scolpì, nella sua Petralia il suo primo, pregevole, Crocefisso; la prodigiosa statua del Crocefisso di Cutro sembra essere, invece, l’ultimo dei 33 Crocefissi che egli abbia scolpito, in odore di santità, durante i suoi 38 anni di vita terrena.

[4] Mimmo Stiparo (internet, 2009) ancora scrive: I vari convegni e corsi di studio che negli anni si sono tenuti a Calvaruso, a Milazzo, a Bisignano e soprattutto quello di Mojo Alcantara del 1985 hanno rivalutato e fatto conoscere al grande pubblico la figura e le opere dello scultore siciliano[fra’ Umile da Petraia]  e grazie particolarmente al contributo dato dagli studiosi Rosolino La Mattina e Felice dell’Utri e con questi il Tognoletto che fu il suo maggior biografo contemporaneo. Assieme a detti studiosi non posso non citare Alfonso Frangipane, Antonino Anile, Rosalbino Turco, p. Pacifico Vaccaro, p. Vincenzo Bondi, Gisberto Caccia e Filottete Rizza che si sono interessati in varie epoche del Pintorno

[5] Biblioteca comunale di Palermo, ms Qq D 85/15

[6] Noto qui, come spunto per ulteriore ricerca, le date della vita di frate Umile (*1601 – + 1639): siamo nel periodo della baronia Lo Squiglio a Galati. E i Lo Squiglio provenivano da Collesano, comune della provincia di Palermo, prossimo a Petralia Soprana. Quello posto intorno agli anni Trenta del secolo XVII, quindi, dovrebbe essere il periodo nel quale collocare l’arrivo in paese della statua

[7] Giangiacomo Martines, Galati Mamertino, in “Storia dell’arte italiana”, ed. Einaudi, vol. 8, p. 398

[8] Nella storia dell’arte si indica con “maestro di”, un autore non ancora individuato ma che presenta delle caratteristiche riscontrabili in altre opere: ricerche ulteriori spesso riescono a darne il nome. Qui il Martines non accetta acriticamente l’attribuzione a frate Umile e crea questo “maestro di Galati” in attesa di conferme: ma con questa dizione ne qualifica già un caposcuola

[9]  Nibali Salvo, Viaggio nella storia di Galati Mamertino, uno dei centri più insigni del messinese, La città dei “venduti”, in “La Sicilia”, 26 aprile 1986, p. 9; Valenti 1984

[10] Guido Mario, L’opera di fra’ Umile di Petraia a Bisognano, Questo Crocifisso lo firmo, con lungo sottotitolo: L’insigne artista siciliano del Seicento iscrisse sul retro il proprio nome e la data di esecuzione (1637) che dimostrano tangibilmente l’autenticità della scultura, conservata nella chiesa convento della Riforma. Un’altra firma a Polla, in provincia di Salerno – Uno studio di Rosalbino Turco in “Gazzetta del Sud”, a. XXXVI, 26 febbraio 1987, p. 3

[11] Duro Carmelo, Fervore di ricerche sullo scultore siciliano, Allo studio di Frate Umile, Si annuncia un convegno (il quarto in pochi anni) a Campobello di Mazzara con relatori qualificati, fra cui autori di opere riguardanti l’artista. Altri dovrebbero seguire a Bisognano in Calabria e a Calvaruso (Messina). La tecnica e le caratteristiche degli ormai famosi Crocefissi analizzate in due interessanti libri, in “Gazzetta del Sud”, a. XXXVII, 18 maggio 1988, p. 3

[12] Duro Carmelo, La vita di frate Umile da Petraia Soprana, Scolpiva soffrendo e pregando, e anche qui con un lungo sottotitolo: I Crocifissi hanno notevoli somiglianze fra loro – Sul misticismo e sulla tenerezza dell’artista si innestarono leggende e favole e alle opere vennero attribuiti effetti miracolosi – Il punto più oscuro sull’attività del francescano riguarda i suoi viaggi – Le ipotesi legate al tipo di legno scelto per realizzare le croci, in “Gazzetta del Sud”, a. XXXVI, 22 marzo e 26 marzo 1987, p. 3

[13] Non ho mai potuto osservare da vicino quella che lo scultore pose in origine al simulacro, né mai nessuno ha pensato a fotografare il particolare della corona di spine posta sul capo del simulacro del Cristo nelle quattro proiezioni

[14] Per la corona d’oro cfr. Vicario 2005, p. 117, 81n

[15] La perdita costituirebbe ulteriore difficoltà alla sua attribuzione

[16] Cfr. “La voce del Santo”, voce non ufficiale della Basilica e santuario di Sant’Antonio di Padova in Afragola (NA), edizione del 16 giugno 2008, ma non vengono citate le fonti

[17] Il ricercatore non ha pubblicato un testo monografico, quindi non vengono citate le fonti

[18] La nascita ufficiale del borgo di Mojo Alcantara si ebbe nel 1602, sotto la reggenza di Palmerio (o Palmerino) Lanza; in quell’anno, infatti, l’autorità règia gli concedette la cosiddetta “licentia populandi”. Dove oggi sorge l’attuale Municipio i Lanza provvidero a far edificare anche il loro palazzo baronale. I segni della presenza a Mojo della signoria dei Lanza si avvertono a tutt’oggi attraverso le proprietà immobiliari detenute dai loro discendenti e ricadenti nel territorio moiese (da internet)

[19] Da internet

[20] Il cultore di storia municipale di Mojo è Antonio Piazza che, a sua volta, riferisce di avere svolto scrupolose ricerche, ormai quasi completate, che ha raccolto in una monografia in attesa di pubblicazione

[21] Comune di Mojo Alcantara (ME), prot. N° 3070 del 17 agosto 1985

[22] I più noti sono frate Andrea da Chiusa, fra’ Innocenzo da Assisi, fra’ Vincenzo da Bassiano, fra’ Diego da Careri, p. Giovanni da Reggio Calabria, fra’ Angelo da Pietrafitta

[23] A Galati il convento francescano si era conservato pressappoco integro sino a oltre la seconda metà del secolo XX, tranne la chiesetta annessa, già diruta a fine secolo XIX

[24] Autore e opera sconosciuti su internet

[25] Non direi tuttavia di disperare. Negli archivi troppe volte capita la fortunata evenienza di rinvenire documenti impensati.